La cosiddetta “film therapy” è una pratica assai diffusa in molti contesti clinici e rieducativi, utilizzata sia come prescrizione individuale che come modalità di lavoro di gruppo. Tuttavia, è qualcosa che in realtà ognuno di noi ha avuto modo di sperimentare sulla propria pelle: quante volte ci siamo rifugiati in un film per “metterci in pausa” rispetto alla nostra vita?
Proprio il mettersi in pausa, il dirigere l’attenzione unicamente allo schermo, alla narrazione filmica, ai colori, alle luci e ai suoni, è ciò che consente di sintonizzarci emotivamente con i personaggi e con la storia che raccontano. La visione del film per lo spettatore potrà essere occasione di rielaborazione di alcune dinamiche intrapsichiche (patologiche e non) grazie al processo di identificazione ed empatia con i personaggi.
In quanto promotore di “emozioni” il cinema ci fa piangere, sognare, entusiasmare, riflettere, sperare, ci educa, a volte ci spinge anche ad andare oltre i nostri limiti e ad affrontare timori e paure. Tante sono le funzioni del cinema ed è per questo motivo che il metodo filmterapeutico si sta diffondendo sempre di più, anche per la sua fruibilità e immediatezza di somministrazione.
In ambito psicoterapeutico, ad esempio, costituisce un ulteriore strumento di introspezione in quanto permette al paziente di osservare una problematica a lui vicina da un altro punto di vista, come a vedere sé stessi dal di fuori, ampliando così la propria visione mentale, entrando in contatto in modo diverso con le proprie emozioni, stimolandolo a trovare nuove soluzioni al problema. Inoltre, permette di comprendere meglio non solo i propri stati mentali ma anche quelli altrui, altresì fornendo la possibilità di compiere operazioni cognitive su di essi.
Infine, ma non meno importante, guardare un film è un momento di relax che concediamo a noi stessi nei ritagli della nostra quotidianità, e già di per sé questo è una forma di cura personale.
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